La scorsa settimana a Roma, alla Camera dei deputati, è stato presentato il manifesto per la sovranità costituzionale da tre soggetti politici quali: Senso Comune, Patria e Costituzione e Rinascita. Come ha tenuto a precisare il prof. Geminello Preterossi di Senso Comune non si tratta di sovranismo, neologismo utilizzato per lo più dagli avversari per ghettizzare o squalificare una proposta politica, ma di un manifesto che vuole rimettere al centro la sovranità costituzionale e popolare della Costituzione e, di conseguenza, anche i principi in essa contenuti. E’ necessario tornare a dare attuazione alla Costituzione anziché persistere in un percorso di riforme fallimentare, ormai trentennale, in ossequio ai trattati economici europei che ha generato disoccupazione, arretramento industriale, un ampliamento delle disuguaglianze tra classi sociali e tra Nord e Sud, che sta sfociando nelle spinte centrifughe per l’autonomia differenziata.
Andiamo ora ad esaminare i punti salienti del manifesto, che poi linkerò nella sua versione integrale al termine dell’articolo.
1. Per un patriottismo senza nazionalismo.
Scioglie un equivoco che è frequente leggere, ovvero che battersi per il ripristino di una piena sovranità nazionale e popolare equivalga ad essere nazionalisti. Il nazionalismo però non è altro che una distorsione del concetto di patriottismo, è una proiezione esterna aggressiva di esso, è il considerare la propria nazione superiore alle altre. Nel manifesto, invece, si legge che “occorre rivendicare quella tradizione che (…) ha identificato l’amor di patria con l’amore per la Repubblica in quanto forma di vita libera, come fratellanza e solidarietà fra cittadini che amano il proprio Paese e le sue istituzioni nella misura in cui garantiscono a tutti di vivere liberi e uguali, in pace e sicurezza. Questo sentimento è condiviso da tutti i cittadini di una determinata comunità territoriale a prescindere dalla propria origine etnica e dalle loro identità religiose, ideologiche, di genere, ecc. E’ un sentimento di protezione data e ricevuta, è dunque non aggressivo e riconosce pari diritti e dignità alle altre patrie“.
2. Per una difesa intransigente della Costituzione del ’48.
Questo passaggio è sicuramente interessante. Possiamo infatti affermare che le grandi riforme intercorse negli anni alla nostra Costituzione siano state migliorative? Tralasciando le riforme minori, abbiamo la riforma del Titolo V del 2001, che ha delegato alle Regioni o alla legislazione concorrente materie fondamentali come la sanità, i trasporti, il commercio con l’estero, le politiche per l’occupazione, ecc. creando un quadro disarticolato che spesso ha innescato conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni. Inoltre, si è piantato il germe delle attuali rivendicazioni per l’autonomia differenziata, con l’introduzione del cosiddetto federalismo fiscale. A 17 anni dalla riforma le disuguaglianze tra Nord e Sud non sono mai state così ampie e rischiano ora di scavare un solco ancora più profondo che potrebbe minare l’unità stessa del Paese.
Per non parlare della riforma, attuata nel 2012 dal governo Monti, dell’art. 81 che ha introdotto il principio neo-liberista del pareggio di bilancio in Costituzione, meramente simbolico ma approvato senza il consenso degli italiani e rappresentativo di quelle politiche che hanno causato pesanti sofferenze ai cittadini e dato avvio al declino di Forza Italia e Partito Democratico.
Insomma fare riferimento alla Costituzione del ’48 significa riaffermare il desiderio di razionalizzare e uniformare le compentenze tra Stato e Regioni, con un peso preponderante del primo rispetto alle seconde. Significa anche ritornare a politiche di bilancio espansive e rimettere in cima alle fonti del diritto, incontrastata, la nostra Costituzione. Spazio che oggi le viene conteso dai trattati europei, sui quali i cittadini non si sono mai direttamente espressi.
3. I compiti dello Stato nazionale;
4. Contro la mobilità incontrollata di capitale, lavoro, merci e servizi;
5. Regolare le migrazioni per combattere la xenofobia e evitare guerre fra poveri.
Questi tre punti possono essere analizzati congiuntamente. Delineano un rinnovato protagonismo, sfumato peraltro solamente nell’eurozona, degli Stati nazionali. Inutile nascondersi dietro ad un dito, l’Unione Europea prende decisioni su base intergovernativa, con l’unica penalità per alcuni Stati membri di essere pesantemente limitati dalle regole di bilancio, dall’utilizzo di una valuta non propria, e dai principi di liberoscambismo dei trattati economici europei. E’ necessario, quindi, rendere nuovamente liberi i popoli europei di autodeterminarsi democraticamente circa le politiche che si intendono attuare, in particolare per quanto riguarda quelle economiche che concernono la spesa delle risorse pubbliche, frutto anche del lavoro dei cittadini.
Nel manifesto si può leggere che: “La sovranità costituzionale è, quindi, condizione per abolire la tirannia del principio della libera concorrenza, subordinandolo all’utilità sociale e alla dignità della persona. A tal fine, la moneta è variabile politica decisiva, da portare al servizio del welfare e della democrazia costituzionale.
E’ fondamentale una radicale riqualificazione dello Stato (…): per l’istruzione pubblica, la sanità pubblica, i servizi fondamentali, la lotta alla corruzione e agli sprechi e la conquista del controllo democratico del territorio sottraendolo ad una criminalità mafiosa sempre più diffusa in tutto il paese”.
“La mobilità internazionale di capitali, merci, servizi e persone va regolata e limitata in riferimento alla protezione del lavoro, della giustizia sociale e ambientale“.
“Ribadito che, né il diritto d’asilo nei confronti di chi è stato privato delle libertà democratiche, né il dovere di umana solidarietà nei confronti delle vittime di guerre e catastrofi naturali possono essere messi in discussione, va riconosciuto che la regolazione degli ingressi, in relazione alle effettive capacità di integrazione, è condizione essenziale per offrire un’accoglienza degna (fino allo jus soli), ossia in grado di garantire ai migranti accolti condizioni di vita e di lavoro analoghe a quelle dei cittadini autoctoni e, contestualmente, evitare dumping sociale verso i residenti.
Va, insieme, affermato il diritto a non emigrare, in quanto l’emigrazione non è affatto un fenomeno positivo per il Paese d’origine, mentre ciascuno dovrebbe avere il diritto a vivere e lavorare in condizioni dignitose nel proprio Paese: un diritto da difendere con la solidarietà internazionalista fra le classi popolari dei Paesi ricchi e i Paesi poveri, chiamati a lottare assieme per promuovere e rafforzare il diritto allo sviluppo integrale di tutte le nazioni“.
6. Tecnologia e mercato: i bisogni individuali non sono sempre diritti.
Questo paragrafo va a recuperare la tradizione del sentire popolare dei partiti di massa del ‘900. Non tutto ciò che l’individuo demanda secondo i suoi bisogni può diventare diritto. Gli avanzamenti tecnologici vanno regolati e subordinati alla salvaguardia dell’ambiente e della dignità della persona.
Sembra un’ovvietà ma in questi tempi di individualismo sfrenato è una bella novità che, oltretutto, non scade nel bigottismo e nell’anti-scientismo della destra radicale.
Dal manifesto: “Ecco perché occorre instaurare forme di controllo democratico sull’uso del sapere tecnologico e scientifico, in base al principio che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile.
Ed ecco perché occorre contrastare l’individualismo proprietario che, mettendo in relazione fattibilità tecnica, conversione dell’innovazione in prodotto commerciale e induzione di nuovi bisogni, converte ogni desiderio soggettivo in “diritto”“.
7. Socialismo ed ecologia;
8. Partiti e democrazia;
9. Costruire il soggetto politico.
Altri tre punti strettamente interconnessi. Le due questioni centrali del nostro secolo, il lavoro e la questione ambientale. I livelli di disoccupazione e precarietà nei paesi, pur industrialmente avanzati, della periferia dell’eurozona hanno raggiunto livelli da Terzo Mondo. E’ una situazione non più sostenibile, come non è più sostenibile un modello di sviluppo che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa del genere umano sul pianeta. Da qui le due parole chiave: socialismo ed ecologia. Per un soggetto politico che si faccia promotore di buona e piena occupazione, unitamente ad una riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo. E le due cose vanno di pari passo.
Su questo piano si può raggiungere una convergenza con l’umanesimo cattolico, privo di riferimenti politici adeguati e non meramente formali.
Che tipo di soggetto politico dovrà essere? Un partito, come stabilito dalla Costituzione. Un’organizzazione intermedia che sia intellettuale collettivo e torni a selezionare, ma soprattutto formare, classe dirigente. Negli ultimi anni è in voga la retorica che il cittadino, solo con la sua formazione ed esperienza professionale individuale, sia in grado di misurarsi con l’amministrazione pubblica e addirittura con il governo del Paese. Niente si sta rivelando più sbagliato, con i nostri esponenti politici che sembrano più impegnati in un estenuante teatrino che a governare il paese con competenza e secondo un progetto preciso di trasformazione della società. Nonostante tutto, però, il partito che sta emergendo prepotentemente è la Lega Nord, un partito radicato che non ha mai smesso di formare la propria classe dirigente e di esercitare egemonia a favore di interessi, purtroppo, diametralmente opposti ai nostri e nocivi per l’ambiente e le classi popolari.
Dal manifesto: “Nessuna delle attuali forze politiche italiane è in grado di raccogliere le indicazioni qui sintetizzate. Non le destre e le sinistre riformiste, corresponsabili dello snaturamento in senso liberista della Costituzione e dell’integrazione subalterna dell’Italia nell’Unione europea.
Non le sinistre radicali o antagoniste, sorde ai temi della nazione e dello Stato. Non le attuali forze di governo che, pur criticando la politica dell’Unione europea e pur manifestando alcuni (moderati e contraddittori) intenti ridistribuitivi, appaiono incapaci di operare – per condizionamenti di classe e/o per ambiguità ideologica – una necessaria svolta verso un’economia orientata e governata dal settore pubblico.
La discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve quindi essere reso funzionale alla formazione di una forza politica, ispirata ai principi del socialismo, del cristianesimo sociale, dell’ambientalismo, capace di restituire fiducia e speranza alle classi popolari, di rispondere alla loro domanda di protezione e sicurezza sociale e di impegnarsi a costruire con loro un progetto di Paese coerente con il programma della Costituzione Repubblicana“.
Link al testo completo: Manifesto per la sovranità costituzionale
Un pensiero riguardo “Focus: Il manifesto per la Sovranità Costituzionale”